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Quale futuro per un'economia dell'idrogeno? 1

Quale futuro per un'economia dell'idrogeno?

È iniziata la corsa per la produzione di idrogeno a zero emissioni, elettrolizzatori e veicoli a celle a combustione

Che l’idrogeno sarebbe stato usato come combustibile e fonte di luce e di calore lo preconizzava già nel lontano 1874 Jules Verne. Più di cent’anni dopo, nel 2002, Jeremy Rifkin al tema dedicava una delle sue opere più importanti, Economia all’idrogeno, sostenendo quanto l’idrogeno potesse giocare un ruolo fondamentale nella transizione verso un futuro energetico sicuro e pulito. Oggi le idee di questi due visionari, sostenute con convinzione dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), sono diventate una realtà, con un potenziale di sviluppo enorme, proprio grazie alle caratteristiche intrinseche di questo elemento: l’idrogeno è versatile ed integrabile con le energie rinnovabili per la produzione e il consumo di energia a zero emissioni. A credere fortemente in un’economia basata sull’idrogeno è soprattutto l’Unione Europa (UE), che lo scorso luglio ha lanciato la sua ambiziosa Strategia europea sull’idrogeno, considerato l’anello di congiunzione per la sostenibilità e la funzionalità dei futuri sistemi energetici decarbonizzati su scala globale.

L’emergenza Covid sta mettendo in ginocchio il sistema economico in cui viviamo, mostrando la sua fragilità e gli impatti ambientali dell’attività umana. Studi recenti hanno messo in luce la correlazione tra degrado ambientale e perdita di biodiversità con l’aumento della diffusione di nuovi virus.  Si fanno quindi sempre più necessarie azioni mirate ed incisive che rafforzino la sostenibilità degli ecosistemi.  Con il Green New Deal, il piano di investimenti europeo di 1.000 miliardi di euro in dieci anni per raggiungere l’indipendenza da fonti fossili entro il 2050, l’UE sta optando per una politica più incisiva in tal senso, cavalcando una prospettiva dove l’idrogeno è uno dei pilasti portanti, nonostante i costi elevati di tecnologie da perfezionare e un quadro normativo di riferimento ancora poco chiaro sui punti chiave. In quanto “vettore energetico”, esso può contribuire a ridurre in modo significativo il triplice dilemma dell’energia. In primo luogo, permette la decarbonizzazione, avendo un fattore di emissione pari a zero negli usi finali, soprattutto nei settori hard to abate (chimico, siderurgico e dei trasporti) e può essere prodotto attraverso processi totalmente decarbonizzati (idrogeno verde) o con emissioni molto limitate (idrogeno blu). In secondo luogo, può garantire flessibilità e resilienza al sistema energetico, appiattendo i picchi di produzione di energia elettrica da fonti non programmabili (eolico, solare e idroelettrico), supportandone la diffusione su larga scala: queste possono essere convertite in idrogeno e stoccate in serbatoi. Inoltre può essere facilmente trasportato attraverso la rete di gas esistente ed essere utilizzato come vettore in grado di trasferire in maniera efficiente e versatile l’energia prodotta da fonti rinnovabili in luoghi lontani, permettendo di collegare i poli della produzione e della domanda: in tal modo si riducono i costi di fornitura e si garantisce la sicurezza e la continuità dell’approvvigionamento.  

Oggi però oltre tre quarti dell’idrogeno, utilizzato soprattutto nell’industria chimica e siderurgica per la lavorazione di petrolio e fertilizzanti, è “grigio”, ovvero prodotto da fonti fossili attraverso procedimenti con emissioni di CO2, responsabile di 830 milioni di tonnellate di emissioni, l’equivalente delle emissioni annuali di carbonio di Regno Unito ed Indonesia messe assieme. Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2050, governi, ma anche aziende, si stanno mobilitando per modificare la tendenza, con grossi progetti ed investimenti su tutta la catena di valore, dalla produzione, al trasporto e stoccaggio, fino agli usi finali.

L’idrogeno pulito o a basse emissioni può essere prodotto attraverso un processo di elettrolisi da fonti rinnovabili (idrogeno verde) o attraverso processi di raffineria da fonti fossili, soprattutto dal gas naturale, uniti alla tecnologia Carbon Capture and Storage (idrogeno blu), che consente di catturare l’anidride carbonica e stoccarla in appositi siti geologici (benché sia l’elemento più abbondante dell’universo, l’idrogeno non esiste libero in natura, ma deve essere estratto dalle sostanze che lo compongono). In entrambi i casi, i costi sono molto più elevati rispetto alla produzione di idrogeno grigio, ma con lo sviluppo di tecnologie sempre più performanti e l’aumento di fonti rinnovabili a disposizione si stima che essi potranno essere competitivi a breve termine.

La corsa alla produzione è però già iniziata. L’UE aumenterà la generazione di idrogeno verde di 1 milione di tonnellate all’anno e vuole istallare almeno 40 GW di elettrolizzatori entro il 2030, rispetto ai 150 MW di capacità globale di oggi, oltre a raddoppiare i fondi per la ricerca fino a 1,3 miliardi di euro. A Linz, in Austria presso l’acciaieria Voestalpine AG, a fine 2019 è entrato in funzione l’impianto di elettrolisi più grande al mondo, con una capacità di 6 MW per applicazioni industriali che richiedono grandi volumi di idrogeno. L’elettrolizzatore è stato costruito da Siemens e l’approvvigionamento di energia rinnovabile avviene presso l’utility Verbund AG. A marzo di quest’anno in Giappone ha preso avvio un progetto di 10 MW ed in Canada ne è previsto un altro da 20 MW.  Se l’idrogeno verde sarà la soluzione più diffusa nel lungo periodo, l’idrogeno blu, ottenuto da composti di carbonio, può giocare un ruolo strategico in una prima fase, con un graduale aumento della produzione di biometano al posto del gas naturale, e può rappresentare una soluzione complementare all’idrogeno verde nel lungo periodo: si tratta di una prospettiva fortemente caldeggiata dalle utility del gas fossile.

Negli usi finali, la vera sfida si gioca nella graduale crescita dell’idrogeno come vettore energetico da trasformare in elettricità o energia termica nel settore residenziale, industriale, ma soprattutto nei trasporti. La principale tecnologia utilizzata per la conversione in energia elettrica è la cella a combustione: un reattore elettrochimico, in cui avviene la reazione di sintesi dell’acqua a partire dagli elementi che la compongono, idrogeno e ossigeno. Si tratta di un processo molto promettente in termini di sostenibilità ambientale, poiché il solo sottoprodotto è l’acqua, e tre volte più efficiente rispetto a quello a batteria ricaricabile dei veicoli elettrici. Diversamente da questi ultimi, che vengono caricati da fonti esterne, le auto a celle di combustione, dove l’idrogeno è stoccato in serbatoi pressurizzati, producono la loro elettricità a bordo, utilizzando batterie molto più piccole, e quindi più leggere.

I tempi di rifornimento sono più veloci, con distanze percorribili molto più lunghe: 3/5 minuti per un’autonomia di circa 500 km. Il settore gode del sostegno di molti governi. Germania e Giappone vogliono mettere su strada rispettivamente 1,8 milioni e 0,8 milioni di veicoli ad idrogeno, con 1'000 e 900 stazioni di rifornimento entro il 2030. La Cina punta a 50'000 veicoli e 300 stazioni entro il 2025 e ad 1 milione di veicoli e 1'000 stazioni entro il 2030. In stretta collaborazione con il settore industriale, gli Stati Uniti vogliono costruire 1'000 stazioni e aumentare le vendite fino ad un milione di veicoli entro il 2030.  Per la sua autonomia, che permette lunghe tratte senza approvvigionamento, il sistema a celle a combustione offre molte opportunità soprattutto per il traffico pesante. Hyundai ha già messo su strada il primo autocarro ad idrogeno, con l’obiettivo di realizzarne 50 entro fine 2020 e 1.600 entro il 2025, mentre il gruppo industriale francese Alstom ha ottenuto l’omologazione per la produzione di 41 treni ad idrogeno in Germania ed Olanda.

Nonostante il mercato dei veicoli ad idrogeno si trovi ancora in una fase embrionale, esso si sta espandendo in modo veloce, catalizzato dal forte sviluppo in Asia (Giappone, Cina e Corea). Nel 2019 lo stock di veicoli ad idrogeno, 25'210 unità, è quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente e le vendite sono passate da 5'800 unità nel 2018 a 12'350 unità un anno dopo.  Le previsioni sono molto incoraggianti per gli investitori: il settore era valutato a 278 milioni di dollari nel 2016, ma si stima che possa raggiungere 12 miliardi di dollari nel 2023, con un considerevole tasso di crescita annuo del 72,4 per cento. A titolo di paragone, il mercato dei veicoli elettrici nel 2017 si attestava attorno ai 119 miliardi di dollari e dovrebbe arrivare a 567 miliardi nel 2025, con un tasso di crescita annuo del 22,3 per cento. Complessivamente, dalla produzione fino agli usi finali, il mercato dell’idrogeno ha subito una forte accelerazione negli ultimi due anni. A galvanizzarlo sono stati proprio i due principali segmenti legati alla decarbonizzazione: le infrastrutture e le tecniche di produzione per elettrolisi e le celle a combustione nei trasporti. Nel 2019 il settore era valutato attorno ai 145 miliardi di dollari ed è previsto un tasso di crescita annuo del 25 per cento, secondo il rapporto Global Cleantech 100 pubblicato quest’anno del Gruppo Cleantech, leader nella consulenza sulla crescita sostenibile. A livello globale si stima che l’idrogeno possa raggiugere un quarto della domanda finale di energia entro 2050, creando 5,4 milioni di posti di lavoro in uno scenario decarbonizzato al 95 per cento.

Chi sono i principali investitori?

Nel settore energetico, molte compagnie del gas e petrolifere hanno incorporato l’idrogeno blu nel loro portafoglio non fossile. Lo scorso maggio, cinque delle principali leader del gas (Cadent, National Grid, NGN, SGN e Wales & West) hanno proposto un piano di 1,1 miliardi di dollari da sbloccare nell’arco di 5 anni per la rete britannica di idrogeno/biometano. Anche Equinor si focalizza sull’idrogeno blu, con importanti progetti nel Regno Unito e soprattutto nei Paesi Bassi, dove vuole convertire una centrale elettrica a gas di Vattenfall in una basata sull’idrogeno decarbonizzato, riducendo le emissioni olandesi di CO2 di 4 milioni di tonnellate all’anno. Nel 2023, una volta completato, sarà il più grande impianto al mondo che produce elettricità pulita dall’idrogeno.

Shell e BP puntano alla produzione di idrogeno verde. Assieme a Gasunie, il colosso anglo-olandese sta progettando la più grande struttura al mondo per la produzione di idrogeno verde dall’energia eolica offshore, al largo del Mare del Nord. Nel 2040 potrebbe raggiungere una capacità di 10 GW, con un potenziale di 800'000 tonnellate di idrogeno pulito. BP sta costruendo un impianto di elettrolisi di 250 MW di capacità per la generazione di idrogeno verde da fonti rinnovabili, in collaborazione con il leader dell’industria chimica Nouryon ed il Porto di Rotterdam.

Anche le utility con un’elevata quota di rinnovabili iniziano a mobilitare fondi per la produzione di idrogeno verde, però in quantità minime rispetto agli investimenti nell’energia non programmabile.  Iberdrola prevede di realizzare un impianto solare da 100 MW e una batteria da 20MWh per alimentare il sistema di elettrolisi nella città industriale di Puertollano, in Spagna. EDP, insieme al governo portoghese e alla compagnia pertrolifera Galp Energia, ha iniziato la costruzione di una centrale per la produzione di idrogeno dall’energia solare, con una capacità di 1 GW, in grado di approvvigionare 1 milione di case, vicino al porto di Sines, in Portogallo. Infine, RWE vuole edificare un impianto di idrogeno verde da 100 MW in Bassa Sassonia, decarbonizzando le attività del gruppo siderurgico ThyssenKrupp a Duisburg.

Nel settore industriale società di spicco come Paul Wurth e ArcelorMittal affermano che l’idrogeno gioca un ruolo chiave nella loro strategia di decarbonizzazione a lungo termine, con l’utilizzo di forni ad idrogeno e turbine per l’elettrolisi nelle applicazioni ad elevate temperature. EPC e Paul Wurth si appoggeranno all’azienda tedesca Sunfire, leader nella produzione di elettrolizzatori, per la messa in funzione di un innovativo impianto di elettrolisi su larga scala e ad alte temperature. 

Dal canto suo, la statunitense Cummins, colosso nella fornitura di impianti per la produzione di energia, ha di recente acquisito Hydrogenics, che costruisce batterie per celle a combustione ed elettrolizzatori per clienti commerciali ed industriali. Si tratta di batterie più efficienti rispetto a quelle elettriche e a diesel. Anche Plug Power, fornitrice  mondiale di celle a combustione, ha appena concluso due acquisizioni (l’americana Giner, specializzata nella fornitura degli innovativi elettrolizzatori con membrana polimetrica elettrolitica (PEM), e l’United Hydrogen Group, con sede in Pennsylvania, che produce idrogeno), rafforzando la sua posizione di leader sul mercato.  

Ma è soprattutto nell’industria dei trasporti che c’è il maggiore fermento, per merito degli stimoli che arrivano dal settore delle auto a celle di combustibile (definite con l’acronimo inglese FCEV - fuel cell electric vehicle). Il mercato delle FCEV è dominato dagli original equipment manufacturers asiatici (OEMs, ovvero i produttori di apparecchiature originali), che attualmente hanno tre modelli in commercio: Toyota Miari, Hyundai Nexo e Honda Clarity. Toyota è da tempo che si impegna per la transizione energetica e intende aumentare la produzione annuale di FCEV fino a 30'000 unità entro la fine di quest’anno, con l’obiettivo di abbassarne i costi. Anche Hyundai prevede un incremento della produzione annuale entro il 2022, con 40'000 unità. È da tenere d’occhio la startup cinese Grove Hydrogen Automotive, che produce auto ad idrogeno innovative, con materiali particolarmente leggeri, migliorandone l’efficienza: ha già esteso la sua distribuzione in Australia, Nuova Zelanda, Nepal e Brasile. In Germania, BMW sta lavorando all’idea di fare coesistere diversi sistemi (a combustione, ibrido, elettrico e FCEV) su un unico veicolo: una vettura dinamica come la BMW X5 potrebbe avere la tecnologia FCEV integrata.

La tecnologia FCEV attira grosse somme in particolare per quanto riguarda il traffico pesante ed i veicoli commerciali. Hyundai ha stretto un partenariato con Cummins per migliorare il sistema a celle a combustione per i suoi veicoli pesanti, Daimler ha annunciato una joint venture con il gruppo Volvo per accelerare la produzione della sua flotta di autocarri e DHL sta collaborando con la produttrice tedesca di veicoli pesanti Steetscooter per i furgoni per le consegne. Tra le nuove aziende più promettenti del settore si impone la statunitense Nikola, specializzata nella produzione di veicoli commerciali (classe 6/8) alimentati sia a batteria elettrica, sia ad idrogeno. Di recente il gruppo, anche se ultimamente un po’ chiacchierato, ha ricevuto finanziamenti per ben 250 milioni di dollari ed ha dichiarato di avere più di 14'000 ordini per camion a celle a combustione, oltre a voler costruire 700 stazioni di rifornimento per autocarri entro il 2028 negli Stati Uniti ed in Canada; in California ne ha appena aperte una quarantina. Anche per quanto concerne le stazioni di rifornimento ad idrogeno sono sul tavolo diversi progetti: ITM Power, produttrice di elettrolizzatori ed altre apparecchiature integrate nella produzione di idrogeno, ha raccolto 47 milioni di dollari ed ha annunciato una collaborazione con Shell per realizzare questo tipo di infrastrutture, mentre Total occupa già una posizione leader in Germania, dopo aver fondato con altri cinque partner industriali la Joint venture H2 Mobility, che possiede circa 100 stazioni di rifornimento.

Crescono anche i fondi di investimento specifici che investono nelle startup attive nel ramo. In Gran Bretagna è appena stato lanciato HydrogenOne Capital, un fondo di 315 milioni di dollari costituito da JJ Traynor, ex dirigente di Shell, e Richard Hulf, ex dirigente di Exxon Mobil e ex gestore di fondi energetici presso Artemis. Nel 2018 Hyundai ha lanciato un fondo da 100 milioni di dollari, Hydrogen Energy Fund, investendo in 3 aziende: GRÀ Technologies, H2Pro e Impact Coatings.

Negli ultimi due anni l’attività di venture nell'idrogeno è esplosa, raggiungendo un totale di 460 milioni di dollari a fine 2019 e facendo oscillare al rialzo le azioni di società come Bloom Energy e Ceres Power. Per far decollare progetti di vaste dimensioni si è infine ricorso a partenariati strategici: in Arabia Saudita, Air Products, ACWA Power, Neom, Thyssenkrup prevedono entro il 2025 di costruire un impianto per la produzione di idrogeno verde di 4GW, di gestire 20.000 autobus a celle a combustione e di esportare ammoniaca pulita; in Australia, Vestas, CWP Renewables, Intercontinental Energy, Macquarie stanno collaborando per la realizzazione dell’Asian Renewable Energy Hub (AREH), il più grande impianto al mondo di energia rinnovabile con una capacità di 26 GW, di cui 12 dedicati alla produzione di idrogeno verde; in Norvegia, Norsk e-Fuel, la joint venture nata dall’aggregazione tra Sunfire, Climeworks, Paul Wurth e Valinor, sta edificando il primo stabilimento europeo per la conversione di energia rinnovabile in combustibile a zero emissioni per l’aviazione commerciale.